Il calcio dell’Est Europa, già di livello inferiore rispetto a quello occidentale, è praticamente scomparso dai radar dopo l’esclusione delle squadre russe dai tornei UEFA, avvenuta due anni fa, e poche compagini riescono a disputare la Champions League; ciò nonostante, è un calcio davvero particolare, con uno stile sui generis, ed offre storie leggendarie a noi appassionati: in questo articolo, ve ne raccontiamo brevemente tre.
Il Derby Eterno
Molte sono le città che si vantano di ospitare il derby più bello del mondo; poche sono però quelle che possono dire di ospitarne uno incandescente al pari di Belgrado, teatro dell’eterno scontro tra Partizan e Stella Rossa. Entrambe le squadre nascono nel 1945, ed entrambi gli schieramenti sono di orientamento comunista: i bianconeri sono però partigiani, ex soldati dell’esercito popolare jugoslavo, mentre i biancorossi sono intellettuali e pensatori di sinistra. La prima gara è un pirotecnico 3-4 per la Stella Rossa, ma nel match successivo si impongono i Parni Valjak (rulli compressori) del Partizan grazie a un autogol. Una rivalità accesissima dunque, ma che fino alla caduta della Jugoslavia è in parte temperata da una “tregua” per combattere il vero “nemico”, le squadre croate. I primi gruppi ultras nascono negli anni ’70, con i Grobari (becchini) del Partizan (soprannome derivante dalla tonalità della maglia) e i Delije (eroi), il più grande gruppo di tifosi dello Stella Rossa, i quali però sono spesso chiamati Cigani (zingari) dai dirimpettai. Gli scontri e la violenza nei derby sono comunque sempre stati all’ordine del giorno: l’ultimo caso eclatante nel 2017, quando la partita viene addirittura interrotta, a seguito di un pestaggio furioso nella curva del Partizan, con i volti tumefatti e insanguinati che diventano subito di pubblico dominio. Ed è derby anche a livello di trofei: anche se la situazione è piuttosto omogenea, con le due squadre che dominano il panorama calcistico serbo, il massimo risultato del Partizan in campo internazionale è la finale di Coppa dei Campioni persa contro il Real Madrid nel 1966, mentre la Stella Rossa ha trionfato nell’edizione del 1991, in finale al San Nicola di Bari contro il Marsiglia. È il primo successo jugoslavo in Europa, ma purtroppo sarà l’ultimo: qualche anno dopo inizia la guerra e la disgregazione del paese, e se oggi il calcio serbo ha ancora rilevanza è grazie all’eterno derby tra Partizan e Stella Rossa.
La tifoseria più iconica dell’Est
Nonostante un blasone inferiore alle squadre di altre scuole calcistiche, molti club dell’area balcanica sono entrati nella storia. Tra questi merita un capitolo a parte l’Hajduk Spalato, squadra croata alla quale sono legati numerosi aneddoti. Il nome di per sé è particolare: Hajduk significa bandito, e basterebbe questo a indicare l’anticonformismo dei tifosi del club, fondato nel 1911 a Praga da un gruppo di giovani spalatini. L’Hajduk è conosciuta anche come la “squadra del no”, per il suo sentimento anarchico ed un triplice rifiuto a diverse autorità durante la Seconda Guerra Mondiale: quello alla FIGC di giocare nel campionato italiano, quello al dittatore croato Pavelic – dopo essere stata la squadra dell’esercito jugoslavo di liberazione – di prendere parte al campionato croato e quello a Tito di diventare la squadra dell’esercito jugoslavo e trasferirsi a Belgrado. Il 28 ottobre 1950, in occasione di Hajudk-Stella Rossa (una delle maggiori rivali dei croati, insieme al Partizan Belgrado e alla Dinamo Zagabria), succede qualcosa di mai visto prima: i tifosi di casa, ispiratisi al tifo sudamericano, danno vita alla Torcida, il primo gruppo di tifo organizzato in Europa: torce, bandiere, tamburi e cori, da pelle d’oca per tutti. Contro la Stella Rossa l’ultimo match si gioca nel maggio del 1991: nonostante i serbi siano reduci dalla vittoria di una storica Coppa dei Campioni, l’Hajduk riesce a vincere 1-0, incitato dall’inizio alla fine dalla sua Torcida. Poco tempo dopo, la Jugoslavia inizia a disgregarsi e l’Hajduk si affilia alla neonata federazione croata; anche il calcio sta cambiando, e inizia l’epoca della commercializzazione. Ma a Spalato il problema non si pone neanche: arriva un altro grande no, quello alla svendita a un fondo straniero; inizia l’azionariato popolare. È vero, non si vince più come prima (l’ultimo titolo nazionale arriva nel 2005), ma i tifosi sono sempre lì, si soffre e si perde tutti insieme. Perché “Hajduk zivi vjecno”: l’Hajduk vive in eterno.
La partita della morte Nella Kiev del ’42, occupata dai tedeschi, un panettiere tifosissimo della Dinamo Kiev incontra per strada, sofferente, il suo idolo, Nikolai Trusevich, portiere della sua squadra del cuore, a cui offre aiuto. Spinto dal desiderio di ricreare la squadra, con l’aiuto di Trusevich, egli riesce a trovare 11 giocatori, 8 della Dinamo, 3 della Lokomotiv: la nuova squadra si chiamerà Start. C’è bisogno di calcio in quel momento, per sollevare il morale di tutti. La Start è iscritta a un torneo composto da altre 5 squadre formate da soldati. Non c’è storia: quelli della Start sono professionisti, l’unica possibile rivale è quella dell’aviazione tedesca, la Flakelf. Il compito della Flakelf è uno solo: farla finita con il mito della Start, simbolo della resistenza ucraina. Il 7 agosto va in scena il big match: il 5-1 a favore degli ucraini è simbolo della loro superiorità. Ma i tedeschi non possono perdere, e così due giorni dopo, si gioca la rivincita, fatta passare come partita di ritorno, ma che passa alla storia come Partita della Morte. Prima di scendere in campo, un ufficiale consiglia agli ucraini di far vincere la Flakelf. La Start finge di starci, ma sa cosa fare: il primo tempo si conclude 3-1. Durante l’intervallo arriva un altro ufficiale, ricordando tranquillamente che se non perdono quella partita, le conseguenze saranno serie. Ma nessuno ci pensa: la partita si conclude 5-3. Rimarrà per sempre nella storia il sesto gol, mai segnato, di capitan Klimenko, che salta tutta la difesa, portiere compreso, arriva sulla linea di porta, si gira e calcia la palla verso centrocampo: l’umiliazione per i nazisti è grandissima. Una settimana dopo i tedeschi trovano e arrestano 8 giocatori: il terzino Korotkikh non sopravvive alle torture nel processo, gli altri sono deportati nel campo di Siretz. Qui sono fucilati alcuni membri del campo: tra loro Trusevich, Klimenko e Kuzmenko. Altri 3 si salvano con la liberazione dell’Armata Rossa; degli altri 4 non si saprà più nulla. Ma la storia dell’eroica resistenza dei giocatori della Start rimarrà per sempre uno dei racconti più tragicamente emozionanti della storia del calcio.